Il battesimo e l’unità dei cristiani. Una prospettiva evangelica

Questo saggio è la riproduzione de “Il battesimo e l’unità dei cristiani. Confronto con la prospettiva evangelica protestante”, Parola e Tempo XI/11 (2012) pp. 183-187.

Nella storia delle varie correnti del protestantesimo, il battesimo è stato oggetto di dibattito teologico ed ecclesiale più che un pacifico e scontato segno d’unità. Tutta la Riforma, in continuità con l’insegnamento biblico e la tradizione della chiesa, ha riconosciuto nel battesimo un importante snodo dell’iniziazione alla fede cristiana, ma non ha potuto semplicemente ripetere e consolidare la teologia battesimale ereditata. Il ritorno ad fontes, alla Scrittura, ha comportato la rivisitazione critica della teologia e della prassi del battesimo e ha spronato la chiesa a non vivere d’inerzia teologica anche in questo campo e a sviluppare la fedele creatività rispetto alla Parola di Dio[1].

La storia successiva al XVI secolo ha consolidato la vocazione del protestantesimo ad essere istanza critica ed autocritica del cristianesimo (con Paul Tillich, si potrebbe dire “profetica”), non dando semplicemente per acquisito ciò che invece doveva e deve essere sempre posto al vaglio della Parola. Questa Parola ha l’autorità spirituale di scalzare ogni equilibrio pre-esistente per riformarlo dalle sue incrostazioni spurie e conformarlo viepiù al proprio insegnamento. Sia la Riforma radicale (o anabattista) del XVI secolo che il battismo riformato del XVII secolo, pur con le loro diverse enfasi e preoccupazioni, sono movimenti evangelicamente vivi che obbligano la chiesa a mantenere uno stato di vigilanza teologica.

Il battesimo è allora una specie di case-study dell’impatto riformatore che il protestantesimo ha avuto e continua ad avere per spronare la chiesa a una maggiore aderenza e fedeltà al Signore che si è fatto conoscere mediante la Sua Parola. Tale profilo ha delle ripercussioni anche per quanto riguarda la relazione tra il battesimo e l’unità dei cristiani.

1. Battesimo e unità del corpus christianum

Il battesimo che la Riforma sottopose ad analisi critica era un battesimo che aveva assunto diversi significati impropri e che la Riforma contribuì a spurgare dalle escrescenze della storia. Si trattava di un battesimo appesantito da significati esterni di cui era stato investito impropriamente.

La teoria del corpus christianum aveva di fatto portato alla coincidenza tra la comunità della chiesa e quella dello stato. I confini tra le due erano talmente sovrapposti da far assimilare una comunità all’altra e vice versa. Una persona era cristiana in quanto cittadino e cittadino in quanto cristiano. Il battesimo era allora diventato un rito di passaggio che immetteva nella chiesa e, contemporaneamente, nella polis. Si trattava, evidentemente, di una forzatura del significato del battesimo che aveva introdotto pesanti distorsioni sulla specificità cristiana dello stesso. Anche la Riforma magisteriale fu condizionata dalla teoria del corpus christianum mentre fu la Riforma radicale (l’Anabattismo) a spezzare l’improprio connubio, non senza conflitti e polemiche.

La battaglia dell’Anabattismo fu, tra gli altri elementi, motivata dalla giusta necessità di distinguere le due comunità: quella spirituale della chiesa cristiana e quella pubblica della comunità civile. Così facendo, sottopose a revisione critica la prassi di battezzare gli infanti sostituendola con quella del battesimo degli adulti credenti e tolse alla chiesa la funzione civile di amministrare del tutto impropriamente un segno d’ingresso nella polis. Il battesimo veniva così sottratto all’equivoco di essere un evento-soglia amministrato dalla chiesa, ma anche con effetti di cittadinanza civile. Esso tornava ad essere quello per cui era stato istituito, all’interno della visione del mondo cristiana, senza dilatazioni ed incrementi che, in realtà, avevano portato ad una sua contraffazione[2].

Senza voler forzare i termini di linguaggi posteriori, si potrebbe comunque dire che riportare il battesimo ad essere un segno di iniziazione cristiana soltanto, senza errate sovrapposizioni di ordine civile, fu un contributo fondamentale al processo di crescita della cultura della laicità, nel senso della distinzione tra due sfere che, biblicamente parlando, devono rimanere tali. Il battesimo cessò di essere un segno di unità dei cristiani che aveva confuso quell’unità con l’essere parte della comunità civile e si avviò sulla strada per riscoprire il suo significato teologico proprio. L’Anabattismo ha reso un servizio fondamentale alla valorizzazione del profilo cristiano del battesimo, liberato finalmente dalle sovrastrutture civili che lo avevano reso, snaturandolo, un altro ordinamento.

2. Battesimo e unità dei professanti

Un altro fronte della riforma del battesimo riguardò il recupero dell’elemento confessante innato nella prassi neotestamentaria di questo ordinamento. Nel Nuovo Testamento, il battesimo segue normalmente la dichiarazione pubblica della fede del battezzando ed è amministrato dalla chiesa dopo la predicazione dell’evangelo e dopo la ricezione della medesima nella vita spiritualmente rinata del credente. Esso è pertanto un segno della fede professata da parte del battezzando che, in virtù di una testimonianza di fede ricevuta, viene battezzato dalla chiesa in quanto credente in Gesù Cristo.

            Si trattava, allora, di rimettere mano alla prassi che aveva visto privilegiare l’amministrazione del battesimo agli infanti per ripristinare il significato confessante dell’ordinamento[3]. Non era tanto la fede dei genitori, né l’ingresso del neonato in una comunità dell’alleanza, né la forza sacramentale dell’atto in quanto tale, quanto la fede personale, consapevole e pubblica del credente che vedeva nel battesimo un atto di ubbidienza successiva alla conversione in comunione con la chiesa. La Confessione di fede battista del 1689, che stabilizza la dottrina battista un secolo dopo la Riforma, così si esprime a proposito del soggetti candidati del battesimo: “Gli unici soggetti legittimati a sottoporsi a questa ordinanza sono coloro che sinceramente professano ravvedimento a Dio, fede nel nostro Signore Gesù Cristo ed obbedienza a Lui” (art. 29)[4]. Da questo ne consegue un’ecclesiologia non più moltitudinista (che abbraccia tutti i battezzati, a prescindere dal loro vissuto di fede reale), bensì confessante (che riguarda tutti i credenti). La chiesa è, in altre parole, formata dai credenti, non da chi ha ricevuto un sacramento d’iniziazione, ma non vive la fede.

Il battismo evangelico problematizza la comprensione del battesimo come segno che precede la ricezione della fede (ex-ante) e sposta l’attenzione sul battesimo in quanto segno che segue la ricezione individuale della fede (ex-post). Il battesimo come segno di unità riguarda allora i credenti professanti che, in quanto credenti, sono stati battezzati dalla chiesa. Il criterio di unità risulta rovesciato. Non è il battesimo che unisce, ma è la fede ricevuta per grazia soltanto da Dio che unisce. Questa fede viene professata dai credenti che, avendone dato testimonianza pubblica col battesimo, sono quindi uniti in Gesù Cristo. Il battesimo non è allora un sacramento avente un’efficacia a sé stante o una forza causativa indipendente, quanto un atto che testimonia una realtà che lo precede e di cui il battezzato è già parte in quanto credente. Tra l’altro, anche Karl Barth ha sostenuto che il battesimo è la risposta del credente all’appello di Dio sotto forma di confessione di fede, quindi un atto che è frutto di una conversione di cui il battesimo è testimonianza[5].

Lo spostamento di accento ha inevitabili ripercussioni in ambito ecumenico. Il locus dell’unità transita dal battesimo alla fede, dal sacramento alla professione, da un atto unico ad una testimonianza continua. Sono uniti non tanto i battezzati, quanto i credenti[6]. Gli evangelici sono pertanto portatori di una visione d’unità che include non tanto i battezzati, quanto i credenti, tutti i convertiti, i “nati di  nuovo”, coloro che credono in Gesù Cristo. Naturalmente, ci si aspetta che i credenti siano anche battezzati, ma non è il battesimo a renderli credenti (quindi uniti tra loro), bensì è la fede ricevuta e professata a fondare l’unità e a permettere l’amministrazione del battesimo da parte della chiesa.

3. Battesimo e domande aperte sull’unità dei cristiani

Alla luce di quanto esposto in modo approssimativo, risulta chiaro che questa visione del battesimo, così distante dall’accezione cattolico-romana, ma anche da quella ecumenica, ad esempio elaborata nel documento di Lima, Battesimo, Eucaristia, Ministero (BEM), pone delle domande di fondo all’idea di un’unità cristiana fondata sul battesimo[7]. L’unità cristiana è semmai fondata su Gesù Cristo ed è praticata dai credenti in Lui. Il battesimo dei professanti testimonia questa unità già data, ma non la fonda, né è la garanzia che tale unità esista davvero se non è vissuta nella fede personale dei credenti in comunione con la chiesa. La confessione di fede dell’Alleanza Evangelica, uno degli organismi rappresentativi del mondo evangelico globale, parla della “unità di tutti i veri credenti”[8].

L’importanza del battesimo non è per niente disconosciuta, ma relativizzata rispetto alla grazia ricevuta per fede e vissuta concretamente nella vita dei credenti. L’unità in Gesù Cristo è un dono condiviso da chi crede, in modo trasversale alle appartenenze ecclesiali e in modo reale anche in presenza di differenze secondarie.

            Gli interrogativi che la teologia evangelica pone alla concezione dell’unità basata sul battesimo sono molteplici e possono essere qui abbozzati solo sommariamente:

–          Se il battesimo sia portatore di un’efficacia sacramentale o se non abbia un ruolo testimoniale successivo alla conversione;

–          Se il battesimo sia l’evento-soglia d’ingresso nel popolo di Dio o se non sia la risposta alla grazia ricevuta ad introdurre nel popolo di Dio;

–          Se il battesimo sia il segno d’unità isolandolo dalle altre qualificazioni dell’unità (secondo Efesini 4,4-6, ad esempio) o se non sia un elemento necessario ma non sufficiente di per sé all’unità.

Evidentemente, si tratta di interrogativi densi che disegnano un orientamento diverso della traiettoria teologica. Nella visione evangelica, l’unità cristiana, pur avendo sempre una dimensione ordinamentale, non si fonda propriamente su nessun ordinamento che non sia la grazia di Dio ricevuta per fede e testimoniata nella carità. L’unità è figlia del primato di Dio più che di un atto sacramentale della chiesa.

L’iniziazione alla fede è compiuta dalla grazia di Dio ed è testimoniata dal battesimo, proprio in quest’ordine teologico e cronologico. L’unità è reale ed è già data tra tutti i discepoli di Gesù Cristo la cui vita è stata salvata dall’incontro con Lui[9]. Si tratta di persone che, secondo il celebre capitolo 17 del vangelo di Giovanni, “osservano” la Parola (v. 6), hanno “ricevuto” le parole del Figlio (v. 8) e hanno “creduto” nel Figlio (v. 8). Non solo loro, ma anche tutti coloro che avrebbero “creduto” per mezzo della loro parola di testimonianza. Queste, e non altre, sono le persone per cui Gesù prega il Padre: “che siano uno” (v. 21).

 

 


[1] Mi permetto di rimandare alla mia voce sul “Battesimo” nel Dizionario di teologia evangelica, a cura di P. Bolognesi, L. De Chirico, A. Ferrari, Editrice Uomini Nuovi, Marchirolo (VA) 2007, pp. 78-79. Il volume curato da D.F. Wright, Baptism: Three Views, Inter-Varsity Press, Downers Grove (USA) 2009 riflette la diversità che la teologia e la prassi del battesimo riscontra anche nel mondo evangelico contemporaneo.

[2] Naturalmente, nella sua teologia battesimale, l’Anabattismo introdusse anche altri accenti ecclesiologici quali, ad esempio, la prassi del ri-battesimo e l’allontanamento dei credenti dalle vocazioni di servizio pubblico. Sull’Anabattismo rimane fondamentale l’opera di U. Gastaldi, Storia dell’anabattismo, 2 voll., Claudiana, Torino 1972-1981.

[3] Infatti, “non c’è una chiara evidenza per il battesimo dei bambini prima della seconda metà del secondo secolo”: E. Ferguson, Baptism in the Early Church, Eerdmans, Grand Rapids (USA) 2009, p. 856.

[4] Il testo si trova in «Studi di teologia», Nuova serie I (1989) p. 186.

[5] Il pensiero di Barth sul battesimo è contenuto in K. Barth, Il fondamento della fede cristiana, Casa Editrice Battista, Roma 1976.

[6] Nelle società “cristiane” o “post-cristiane”, vi sono tante persone battezzate ma non credenti, persone che sono passate nelle acque battesimali ma non danno alcun segno di vitalità cristiana. La domanda è: vi può essere unità cristiana con persone che sono state battezzate ma per le quali Gesù Cristo non significa nulla?

[7] Per una valutazione evangelica del BEM, cfr. H.R. Jones, Gospel and Church. An Evangelical Evaluation of Ecumenical Documents on Church Unity, Evangelical Press of Wales, Bridgend (GB) 1989, pp. 105-130 e P. Schrotenboer (ed.), An Evangelical Response to BEM, «Evangelical Review of Theology» 13:4 (1989) pp. 291-313.

[8] La confessione dell’Alleanza Evangelica si trova in P. Bolognesi – L. De Chirico, Il movimento evangelicale, Queriniana, Brescia 2002, p. 93. Un’altra dichiarazione evangelica contemporanea afferma che “i cristiani rigenerati dallo Spirito Santo … possono sperimentare una unità autentica e biblica, fermo restando l’appartenenza a diverse denominazioni”, Dichiarazione di Wheaton (1966) in Dichiarazioni evangeliche. Il movimento evangelicale 1966-1996, a cura di P. Bolognesi, EDB, Bologna 1997, p. 23.

[9] Cfr. D.M. Lloyd-Jones, La base dell’unità cristiana, Edizioni Passaggio, Mantova 1997. Nell’esposizione di Giovanni 17 e Efesini 4, Lloyd-Jones presenta il modo in cui la Bibbia intende l’unità. Innanzitutto, l’unità è prodotta dallo Spirito Santo e riguarda le persone rigenerate; essa è opera di Dio ed è estesa a coloro che “sono stati dati” a Cristo dal Padre (Gv 17,6.9.11), a quelli che sono stati “chiamati a una sola speranza” (Ef 4,4). Proprio perché è data da Dio, l’unità è un privilegio esclusivo dei credenti. In secondo luogo, la condizione imprescindibile per la conservazione dell’unità è la comune confessione nell’unico e vero Dio rivelato nella Bibbia. L’unità per Lloyd-Jones non può andare a scapito della verità evangelica ma, al contrario, è fondata su di “una sola fede” (Ef 4,5) e sulla parola del Signore che è verità (Gv 17,17). Di qui l’opposizione alla considerazione della dottrina come un elemento di secondaria importanza ai fini dell’unità. Terzo, per Lloyd-Jones l’unità ha una dimensione spirituale primaria anche se necessariamente si manifesta visibilmente (Gv 17,20-23; Ef 4,3). L’unione mistica delle tre persone della Trinità è indicativa della natura dell’unità tra i credenti. Anche se ha un risvolto economico, il legame interno alla Trinità è spirituale e quindi l’elemento istituzionale dell’unità si fonda su questa dimensione e non viceversa. Da ultimo, l’unità tra i credenti deve essere conservata fino al raggiungimento della sua pienezza escatologica (Gv 17,11 e Ef 4,3.11-16). In quest’ottica, l’unità non deve essere creata artificiosamente ma preservata e promossa fino a quando sarà completamente realizzata dal Signore nel compimento dei tempi.

 

 

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49. How Visible Should Christian Unity Be?

John 17, Cardinal Kurt Koch and Martyn Lloyd-Jones in Trialogue

The priestly prayer of the Lord Jesus in John 17 is unanimously recognized as one of the foundational texts, if not the text par excellence, in dealing with Christian unity. There our Lord prays to the Father for His disciples to be one and the pattern of their unity is the relational life of the Trinity. As Father and Son are one, so Christians are prayed for so that their unity will be “as” the Triune God is one.

            The consensus is shaken and eventually broken when different Christians spell out what this unity should be and how it should be lived out. One of the contentious issues revolves around this unity being “visible”. The fact that Christian unity should be somewhat visible is not what is at stake. What kind of “visibility” is required by the Lord’s prayer is where Christians begin to disagree.

In his address to participants at the plenary Assembly of the Pontifical Council for Promoting Christian Unity (15th November 2012), Pope Benedict XVI restated the basic Roman Catholic idea concerning the necessary visibility of Christian unity: “We must not forget that the goal of ecumenism is the visible unity among divided Christians”. The Pope later explained that “it is in full communion in faith, in the sacraments and in the ministry, that will become concretely evident the present and active power of God in the world”. Visibility is therefore a threefold achievement whereby there is unity in the profession of the faith, unity in the celebration of the sacraments, and unity in the recognition of the same ministerial order.

1. Does John 17 Support the Fully Orbed Roman Catholic View of Unity?

The same conviction was argued for by Cardinal Kurt Koch, President of the Pontifical Council for Promoting Christian Unity, in a recent public lecture at the Pontifical Lateran University (11th December 2012) entitled “Unity: Illusion or Promise?”. The lecture was a learned commentary on John 17 which Cardinal Koch divided in six parts. According to John 17 as it was read by Koch, Christian unity has six dimensions: spiritual, visible, Trinitarian, eschatological, missional, and martyrological (i.e. the unity of Christian martyrs).

            What is of interest here is that Koch insisted on the visible dimension of the unity for which Jesus prayed and which he rooted in the Trinitarian life. Since the Church is “the icon of the Trinity” so her unity reflects the unity of the Trinity. Koch underlined the fact that Christian unity cannot be “invisible” but should always be recognizable in the usual threefold way: common profession of faith, common sacraments, common ministry. In other words, in order for unity to be Trinitarian unity you need the Roman Catholic Church that has kept the sacraments in their integrity and has transmitted the ministry in the proper apostolic succession. The visibility of the Trinitarian unity requires and demands the institutional (Roman Catholic) church, its hierarchy, and its sacramental life. In this view, other visible forms of Christian unity are imperfect and partial because they lack the (Roman Catholic) sacraments and ministry. According to this view, the visibility of unity will be achieved when other churches and ecclesial communions embrace not only the common profession of faith, but also the Roman Catholic sacraments and priesthood.

Does this understanding of the visibility of unity derive from Trinitarian life as it is found in John 17? It is hard to read this chapter and conclude that the reference to the Trinity as the pattern for Christian unity refers to a hierarchical and sacramental ministry. The latter seem added dimensions which are quintessential to the Roman Catholic understanding of unity, but are difficult to trace back to Trinitarian life per se.[1]

2. A More Biblically Realist View of Visible Unity?

As I was listening to Cardinal Koch, another reading of John 17 as the basis of Christian unity came to my mind. I recalled the 1962 sermons on the passage by Martyn Lloyd-Jones (1899-1981) which were later published.[2] The contexts between Koch and Lloyd-Jones are very different, yet the comparison is evocative. From Jesus’ priestly prayer, Lloyd-Jones argues that unity embraces those who are given to Jesus by the Father by believing in Him. First and foremost, unity is unity of those who are believers in Jesus Christ (17:6-10), not unity of the baptized as the ecumenical understanding would suggest. One can be baptized and yet not be a believer. Christian unity applies to the latter, not necessarily to the former.

            According to Lloyd-Jones’ reading of the passage, Christian unity starts within and then works outward. It is primarily unseen and internal, although it manifests itself visibly. The Trinitarian foundation speaks about the depth and scope of this union, but it does not spell out any given institutional path in which it is bound to express itself.

This interpretation of the text indicates that neither a particular form of apostolic succession nor a particular sacramental and hierarchical system can be derived from the Trinity itself as if it were the only or the absolute or the perfect pattern for Christian unity. Unity is based on the truth of the Word of God (17:16) and is aimed at witnessing to the world (17:21). The visibility of the unity, as important as it is, depends on the spiritual reality which is a reflection of the Trinitarian life and is above all a gift for the believers in Jesus Christ so that others too would come to Him.

As an aside, Cardinal Koch’s lecture was followed by a prayer for Christian unity with a final intercession to Mary and by a song entitled “Mary, You Are our Mother” which said “… you (Mary) are our Advocate … Queen of Peace”. Even in this ecumenical event, there was no apology for deeply felt convictions. Roman Catholic ecumenism is not about reducing the claims of Catholicism but is a way of implementing them.

Leonardo De Chirico

leonardo.dechirico@ifeditalia.org

Rome, 12th December 2012



[1] The attempt to read back in the Trinity a particular view of the church (and therefore of her visible unity) is widespread. In his book After Our Likeness. The Church as the Image of the Trinity (Grand Rapids, MI: Eerdmans, 1998) Miroslav Volf talks about the fact that Zizioulas, Ratzinger and himself claim that their respective ecclesiology derives from the Trinity.

[2] The Basis of Christian Unity. An Exposition of John 17 and Ephesians 4 (London: Inter-Varsity Press, 1962).

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