Senza parole. Il tentativo cattolico di ridefinire il termine “evangelico”

1 aprile 2013

recensione a: George Weigel, Evangelical Catholicism. Deep Reform in the 21st-Century Church, New York, Basic Books 2013, pp. 291.

“Il principio della sapienza è la definizione delle parole” (Socrate). Se si definisce una parola in un certo modo si fa un’affermazione sulla realtà. La nostra cultura postmoderna ci ha instillato l’idea che le parole non abbiano significati stabili, ma esistono in un flusso che le guida in un modo o nell’altro a seconda degli interessi dei loro utilizzatori.

Questa è la situazione attuale della parola “evangelico”. C’è stato un tempo in cui la parola “evangelico” significava qualcosa di simile a questo: biblicamente, ciò che dice l’evangelo secondo l’insegnamento della Scrittura. Storicamente, in riferimento alla Riforma protestante del XVI secolo Riforma protestante e ai risvegli evangelici dei secoli successivi. Dottrinalmente, è stato un sinonimo dell’ortodossia cristiana, con particolare attenzione al principio formale dell’autorità biblica (Sola Scriptura) e al principio materiale della giustificazione per la sola fede (Sola gratia e Sola Fide). Dal punto di vista spirituale, il termine è stato usato per sottolineare la necessità della conversione personale risultante in una vita trasformata. Sul piano religioso, evangelico ha contraddistinto un movimento distinto rispetto al cattolicesimo e all’ortodossia orientale, così come diverso dal liberalismo. Da John Wycliffe (doctor evangelicus) a Carl Henry, da Martin Lutero a John Stott, dal pietismo al Movimento di Losanna, vi è stato un significato vagamente definito, accettato anche dai non-evangelici. E’ vero che gli evangelici hanno sempre discusso le minuzie di ciò che significa veramente. Ci sono interi scaffali di biblioteche che sono dedicati a questi importanti dibattiti. Eppure, la parola ha conservato un significato piuttosto stabile che ha favorito un’identità comune e un senso di appartenenza nel corso dei secoli e nel nostro mondo globale. Ora stiamo assistendo a un nuovo tentativo di significare la parola “evangelico”, al fine di darle un volto del tutto diverso.
Questo libro di Weigel è un tentativo intelligente di riprogettare la parola recidendo le sue radici storiche e sostituendole con altre radici, cambiando la sua prospettiva dottrinale, e rinegoziando il suo uso religioso. In altre parole, questa è una modificazione genetica di una parola. La tesi di fondo del libro è che il cattolicesimo evangelico (CE) è una qualifica del cattolicesimo romano a partire dal magistero di Papa Leone XIII (1878-1903), passando dal Concilio Vaticano II (1962-1965), e che ha trovato il suo esponente principale in Giovanni Paolo II (1978-2005) ed è stato ancor più rafforzato da Benedetto XVI (2005-2013). Si tratta di una nuova narrazione della parola che ingloba il “ressourcement” (cioè la ri-appropriazione delle fonti: Scrittura e Tradizione) e l’”aggiornamento” (cioè aggiornamento di approccio, non di dottrina).
Secondo Weigel, evangelico è un aggettivo qualificativo, non un sostantivo. Il nome che porta significato e sostanziale è cattolicesimo. Tutti gli elementi romani del cattolicesimo romano sono comunque parte del CE: i sacramenti, la mariologia, la gerarchia, le tradizioni, il papato, le devozioni, ecc. A questo “cattolicesimo” Weigel aggiunge l’aggettivo “evangelico”, che si riferisce essenzialmente alla profondità delle convinzioni e alla passione con cui le si fa conoscere. Il CE è un cattolicesimo a tutto tondo praticato con forte impulso e slancio missionario. Il cattolicesimo è la dottrina e l’hardware istituzionale, mentre “evangelico” è il software sociologico e psicologico. Mentre la dottrina rimane profondamente cattolica, lo stato d’animo spirituale è definito evangelico.
La principale modifica genetica che intacca la parola “evangelico” è solo la punta dell’iceberg di un piano più grande. Tutto il libro rispecchia il tentativo in corso di cambiare il significato delle parole che storicamente appartenevano al vocabolario evangelico. “Conversione”, “evangelizzazione” e “missione” sono alcuni esempi di parole che sono oggetto di risemantizzazione. Si prenda ad esempio la conversione. E’ stata uno slogan per la testimonianza evangelica. Gli evangelici la usavano per segnalare il momento in cui, da non convertiti, sono stati convertiti credendo in Gesù Cristo. Secondo il CE, invece, la “conversione” è un processo, non una esperienza puntilineare. Ci troviamo nella necessità permanente di essere convertiti e qui si inserisce la visione “sacramentale” del cattolicesimo per la quale noi dipendiamo dai sacramenti della Chiesa, dall’inizio alla fine. Il CE di Weigel decostruisce il significato evangelico della conversione e lo ricostruisce dicendo che si tratta di un processo di tutta la vita che si verifica pienamente all’interno del sistema sacramentale della Chiesa cattolica romana. Usiamo la stessa parola, ma intendiamo cose diverse.
Gli evangelici possono pensare che il CE è evangelico in senso storico e teologico, ma non lo è. E’ il cattolicesimo romano che prende lo zelo “evangelico” e lo incardina nella fede tradizionale cattolico-romana. Naturalmente, operiamo in un mondo di libero mercato delle parole ed è perfettamente legittimo che gruppi di pressione cerchino di cambiare il significato delle parole. Nessuno può pretendere la proprietà delle parole, ma tutti dovrebbero essere consapevoli di quando un simile piano revisionista viene messo in atto.