Tesine sull’enciclica “Fides et ratio”

 Seminario tenuto presso l’IFED nell’A.A. 1999-2000

La pubblicazione della Lettera enciclica “Fides et ratio” (FR) avvenuta il 14 settembre 1998 ha riproposto all’attenzione del mondo religioso e dell’opinione pubblica un tema di fondamentale importanza per il cristianesimo, quello del rapporto tra fede e ragione. Le questioni sollevate da FR hanno avuto una vasta risonanza nel dibattito culturale in Italia, a cui hanno partecipato anche intellettuali di area laica e opinionisti di grido. Numerose e variegate sono state le prese di posizione nei confronti dell’enciclica a dimostrazione del fatto che la Chiesa cattolica, anche se raccoglie reazioni diversificate intorno ai propri convincimenti, riesce comunque nell’intento di mettere all’ordine del giorno un tema a lei caro. Tuttavia, al di là del fervore seguito alla sua divulgazione, è presto per valutare la recezione effettiva del documento. Al momento attuale, è difficile dire se FR sia stata una provocazione transitoria già in via di rimozione o se invece essa avrà un’incidenza significativa nel tempo.

A fronte dell’interesse suscitato dall’enciclica in larghi settori dell’opinione pubblica, è da registrare per contro una sostanziale distrazione da parte evangelica. Anche a livello internazionale, FR non sembra aver riscosso l’interesse dei teologi evangelici che invece avrebbero potuto trarre spunto per offrire una riflessione incisiva su questioni che investono direttamente la fede evangelica. Queste “Tesine” vogliono testimoniare il fatto che, nonostante il rumoroso silenzio sin qui evidenziato, gli evangelici sanno “leggere” l’attualità religiosa e culturale e sono interpreti di una prospettiva critica che si nutre dell’identità evangelica.

 

 

  1. Osservazioni generali

 

1. FR presenta in modo esemplare la straordinaria capacità di sintesi intellettuale propria del cattolicesimo magisteriale

La lettura di FR si presenta immediatamente come un esercizio impegnativo. In essa traspare la vastità e la profondità della sapienza cattolica in forma condensata e meditata.

 

1.1  La molteplicità delle prospettive

Nello stile classico delle encicliche, FR è un documento in cui confluiscono una serie di spunti tematici intessuti in un discorso che tende alla sintesi. Una metafora appropriata è, anche in questo caso, quella della “sinfonia”. Per affrontare la questione del rapporto tra fede e ragione, FR getta le basi partendo dalla lettura di alcuni dati biblici, tratti soprattutto dai libri sapienziali e dagli scritti paolini. Il richiamo alla Scrittura è inserito in una cornice teologica che valorizza alcuni riferimenti patristici riassunti nelle espressioni “credo ut intelligam” e “intelligo ut credam”. Alla fondazione biblico-teologica, segue un’analisi storica della cultura e degli orientamenti di pensiero espressi principalmente dalla cultura occidentale. In particolare, viene offerta una rassegna sulle “tappe significative dell’incontro tra la fede e la ragione” che spazia dal Nuovo Testamento ai giorni d’oggi soffermandosi su alcune opzioni filosofiche rintracciabili nella sensibilità contemporanea. In questa ricognizione di ampio respiro, non mancano cenni a tradizioni religiose diverse dal cristianesimo o a culture altre rispetto a quella occidentale. Il discorso di FR evidenzia una grande opera di assimilazione culturale e presenta la capacità del cattolicesimo di offrire una prospettiva unitaria che si nutre di temi biblici e patristici, teologici e filosofici, storici e religiosi, tutti inseriti in una sintesi ricca e suadente. FR dà voce ad una vera e propria visione cattolica della cultura e propone una lettura cattolica del panorama culturale contemporaneo.

 

1.2  I riferimenti a fonti, autori e scuole di pensiero

Nell’esposizione del discorso su fede e ragione, FR fa uso abbondante di riferimenti a testi, personaggi, opere e orientamenti della storia della chiesa e più in generale della cultura. Anche questo è un indice della familiarità con cui il sistema del cattolicesimo si districa nelle pieghe della storia e nell’universo della cultura. Comprensibilmente, nel testo abbondano le citazioni o i rimandi ai pronunciamenti del magistero cattolico nel corso dei secoli[1]. Tuttavia, FR spazia oltre i confini magisteriali e, a questo proposito, interessante è la scelta dei pensatori, filosofi e teologi solo menzionati oppure citati[2] così come delle correnti di pensiero evocate[3]. L’impressione è di trovarsi di fronte ad un pensiero che attinge ad un bagaglio di conoscenza ampio ed assimilato.

 

1.3  I silenzi significativi

FR desta motivi d’interesse per quello che dice ma anche per quello che non dice. I suoi silenzi sono altrettanto rivelatori delle sue asserzioni esplicite. La straordinaria abilità di sintesi che è propria del cattolicesimo non è banalmente onnicomprensiva ma risponde ad una logica selettiva che comunque è funzionale alla cattolicità culturale dell’enciclica. Dato che FR non offre un inventario indiscriminato, anche le esclusioni non sono casuali. Da segnalare è soprattutto la mancanza di qualsiasi riferimento al pensiero protestante ed evangelico che pure ha riflettuto a fondo sul rapporto tra fede e ragione. Non solo il protestantesimo liberale è assente ma anche una tradizione di pensiero più marcatamente evangelica è altrettanto ignorata. Dei Riformatori non c’è l’ombra e lo stesso discorso può essere esteso all’ortodossia protestante, a filosofi come Jonathan Edwards o al neocalvinismo. Se da un lato FR tenta di includere la tradizione dell’ortodossia orientale (74), dall’altra esclude quella del protestantesimo. Evidentemente, il baricentro del tomismo su cui poggia l’enciclica può pendere verso una direzione ma non verso l’altra.

 

 

2. FR obbliga a fare i conti col pensiero di Tommaso d’Aquino e con la tradizione tomista

Fin dal suo incipit, FR ha un inconfondibile afflato tomista. L’enciclica può essere considerata un’attestazione autorevole del ruolo che il tomismo ha avuto e ha tuttora nel plasmare la visione del mondo cattolica, nella fattispecie il rapporto tra fede e ragione. Senza l’impalcatura fornita del tomismo, FR sarebbe impensabile. FR è esplicita nel sostenere la “novità perenne” del pensiero di Tommaso (43-44) e nel rivendicare la fecondità della filosofia dell’essere espressa ad esempio nella costituzione dogmatica Dei Filius del Vaticano I (52-53), nell’enciclica Aeterni Patris (57) e nel rinnovamento neotomista del XX secolo (58-59). Il tomismo è la traiettoria che unisce il cattolicesimo medievale a quello post-conciliare e che permette alla chiesa cattolica di pensare il futuro. Esso rappresenta “la sintesi più alta che il pensiero abbia mai raggiunto” (78).

Se si prende sul serio l’impianto di FR, si evince che il cattolicesimo non può essere disgiunto dal tomismo. L’impronta tomista è una traccia indelebile del cattolicesimo, non solo di FR, sia nel suo sviluppo storico che nelle sue opzioni fondamentali. Anche se diverse espressioni del cattolicesimo contemporaneo sembrano proporre delle versioni o interpretazioni del tomismo segnate da una certa fedeltà creativa, se non proprio da una palese discontinuità rispetto all’opera di Tommaso, al tomismo classico ed al neotomismo, nondimeno il discorso di FR riconduce la riflessione cattolica entro l’alveo consolidato della tradizione tomista in senso lato. In ciò, l’enciclica non fa altro che ribadire un dato intrinseco al sistema del cattolicesimo, cioè il ruolo nevralgico del tomismo. L’operazione di rivalorizzazione della cornice tomista impone considerazioni più ampie in merito al modo in cui la realtà multiforme ed unitaria del cattolicesimo può e deve essere interpretata. FR è un’ulteriore conferma che l’analisi del cattolicesimo passa attraverso il percorso obbligato della valutazione critica del tomismo. Il cattolicesimo non è semplicemente coestensivo rispetto al tomismo ma la matrice tomista è imprescindibile per il cattolicesimo. Ciò significa che non si può tentare di capire il cattolicesimo in modo sufficientemente plausibile senza fare i conti col tomismo.

 

 

3. FR è esplicita nel rigettare il “sola Scrittura”, “principio formale” della Riforma e asse portante della fede evangelica

L’enciclica è molto chiara nell’assumere posizioni critiche nei confronti di numerosi orientamenti di pensiero presenti nel panorama odierno. Tra questi, il papa annovera tra i pericoli da cui guardarsi il “biblicismo”, che viene definito quella “tendenza fideistica” che “tende a fare della lettura della Sacra Scrittura o della sua esegesi l’unico punto di riferimento veritativo” (55). Il testo continua affermando che “la Sacra Scrittura …  non è il solo riferimento per la Chiesa” in quanto “la regola suprema della propria fede … le proviene dall’unità che lo Spirito ha posto tra la Sacra Tradizione, la Sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa in una reciprocità tale per cui i tre non possono sussistere in maniera indipendente” (cf. 65). Il riconoscimento della triade Tradizione-Scrittura-Magistero quale riferimento veritativo plurimo colloca l’enciclica nel solco del cattolicesimo tridentino. In FR si ritrova la dottrina tradizionale che i Riformatori del XVI secolo e gli evangelici dei secoli successivi hanno decisamente rigettato in nome del sola Scrittura. Anzi, a ben vedere, FR segna addirittura un passo indietro rispetto alla «Dei verbum» del concilio Vaticano II che aveva evitato il linguaggio della duplice presenza della parola di Dio (“sia… sia”), riproposto invece dal papa quando scrive che “la parola di Dio è presente sia nei testi sacri sia nella Tradizione” (55). La ripresentazione della dottrina tridentina in chiave polemica nei confronti dell’orientamento della Riforma (anche se la Riforma non viene citata esplicitamente nel contesto del paragrafo) offre uno spaccato indicativo della natura e del funzionamento del sistema del cattolicesimo. Riprendendo Trento anche sorvolando il Vaticano II, FR manifesta la capacità del sistema del cattolicesimo di rinnovarsi senza riformarsi, di riprendere tesi tradizionali in contrasto con quelle progressiste senza per questo indicare una cesura tra le due prospettive. In piccolo, FR riproduce la dinamica dello sviluppo della dottrina cattolica.

Inoltre, una considerazione deve essere fatta in merito al rapporto che intercorre tra il sistema del cattolicesimo e la fede evangelica. Da un lato, FR considera il sola Scrittura protestante un “pericoloso ripiegamento”; dall’altro, il sola Scrittura è un elemento essenziale, imprescindibile, non negoziabile della fede evangelica. Alla luce di questa contrapposizione, si deve prendere atto che la triade Tradizione-Scrittura-Magistero non è compatibile col sola Scrittura. Nella logica della fede evangelica, o si dà uno, o si dà l’altro e se si dà uno non si dà l’altro. In questo senso, la «triade» cattolica è irriducibile al «sola» evangelico e viceversa. Mentre FR, in continuità col cattolicesimo tridentino, ingloba la Bibbia nella Tradizione e le permette di parlare solo attraverso la voce del Magistero, la fede evangelica riconosce la Bibbia quale “norma normans non normata”.

 

B. Osservazioni specifiche

 

4. FR imposta la comprensione del rapporto tra fede e ragione sulla base del motivo natura-grazia

Si è già fatto riferimento al fatto che il tomismo di FR è connaturato al cattolicesimo. FR non si limita ad indicare genericamente la “perenne attualità” del tomismo ma affronta il rapporto tra fede e ragione sulla base della comprensione tomista del problema. Tale orientamento si fonda sul motivo natura-grazia che innerva la tradizione tomista e ne costituisce uno degli elementi caratterizzanti. La relazione tra fede e ragione può essere pensata deduttivamente come derivante dal modo in cui viene pensata l’articolazione tra natura e grazia. Quest’ultima sta a monte rispetto alla prima. In un’espressione programmatica, FR afferma che “come la grazia suppone la natura e la porta a compimento, così la fede suppone e perfeziona la ragione” (43; cf. anche 75). Il sostrato teologico del motivo natura-grazia è particolarmente evidente nel modo in cui FR concepisce lo statuto della conoscenza, l’autonomia della ragione e le conseguenze del peccato.

 

4.1 FR ripropone la distinzione e la coniugazione tomiste degli ordini della conoscenza 

L’enciclica ribadisce la tesi tomista sancita dai concili Vaticano I e II dell’esistenza di due ordini di conoscenza, ciascuno dei quali ha propri principi e oggetti della conoscenza (9, 13, 53, 55, 67, 71, 73, 75, 76). La fede e la ragione operano quindi in ambiti distinti anche se non disgiunti. Se, da un lato, la ragione ha un proprio spazio d’autonomia rispetto alla fede, dall’altro la fede non può prescindere dall’apporto della ragione che, pur afferendo ad un altro ordine di conoscenza, è tuttavia indispensabile per un retto esercizio della fede. La ragione si apre alla fede e la fede si innesta sulla ragione. In linea con la visione tomista, FR attribuisce alla fede un grado di ulteriorità che assume il dato “naturale” della ragione e lo porta a compimento.

Se adeguatamente comprese e praticate, tra le due non vi è rapporto conflittuale ma armonico e cooperativo. Non a caso, “la fede e la ragione sono come due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità” (incipit).

In prospettiva evangelica, il quadro tomista di FR appare gravato da un vizio di fondo riguardante lo sdoppiamento degli ordini della conoscenza che legittima la divisione della conoscenza e favorisce l’incunearsi di spazi di autonomia. Secondo la Bibbia, tutta l’esistenza dev’essere vissuta coram Deo e ciò esclude che la ragione possa essere avulsa dalla fede quasi fosse una facoltà autosussistente o distaccata dalla realtà di Dio. Pur articolandosi in una pluralità di modalità aventi ciascuna una propria specificità, la vita nella sua globalità trova nell’alleanza rotta o ristabilita con Dio la propria cornice di riferimento. Qualsiasi attività umana viene esperita nell’ambito dell’alleanza tra Dio e l’uomo. La ragione quindi è essenzialmente religiosa. Il rapporto tra fede e ragione deve essere pensato nell’orizzonte unificante del coram Deo e non in quello dissociante di FR.

 

4.2 FR riconosce alla ragione un’insostenibile autonomia

In forza dello sdoppiamento degli ordini della conoscenza, uno dei rilievi qualificanti con cui FR denota la ragione è la sua autonomia rispetto alla fede. Tale autonomia riflette “l’autonomia della creatura” (15) e si manifesta sul piano metodologico (13, 67) e normativo (67, 73, 77). All’interno del quadro tomista in cui “la fede non umilia l’autonomia della ragione” (16), l’autonomia viene come concepita come un’istanza ed un’aspirazione “legittima” (75, 79) e “giusta” (75, 106).

La critica evangelica a quest’impostazione è radicale. Alla luce dell’insegnamento biblico, non si dà alcuna autonomia, comunque definita, rispetto a Dio e alla sua rivelazione non solo per quanto riguarda la fede ma anche per quanto concerne la ragione. Non solo: se l’esistenza è coram Deo, tutta la vita, tutti gli esseri, tutte le facoltà, tutti i saperi, non possono prescindere dal legame costitutivo col Creatore e dal vincolo veritativo della sua parola. Al tomismo di FR bisogna contrapporre una visione riformata che riconosce le prerogative di Dio e lo statuto creazionale della realtà.

 

4.3 FR sminuisce l’importanza degli effetti noetici del peccato

In continuità con la visione non tragica del peccato propria del tomismo, anche FR presenta una dottrina biblicamente deficitaria del peccato in relazione alla sua incidenza sulla ragione. Della ragione si riconoscono la fragilità, la frammentarietà e i limiti (13, 43) nonché una congenita debolezza (75) e una certa imperfezione (83). Il peccato interviene sull’assetto della ragione portando ferite, ostacoli, offuscamento, debilitazione e disordine (23, 82, 71) anche se permane la “capacità” della ragione di conoscere la dimensione trascendente “in modo vero e certo” (83), di cogliere alcune verità (67), d’innalzarsi, se vuole, verso l’infinito (24) e di giungere fino al Creatore (8). Il fatto stesso che FR si riferisca spesso alla ragione in senso assoluto evidenzia l’effettiva intangibilità della ragione rispetto al peccato. In ultima istanza, FR è un invito a nutrire “fiducia nelle capacità della ragione” (56) a dimostrazione del fatto che il peccato ha avuto un’incidenza marginale permettendole di mantenere uno statuto sostanzialmente intatto.

In un’ottica evangelica, l’enciclica non rende ragione dell’insegnamento biblico riguardante la rottura dell’alleanza e degli effetti radicali che essa ha determinato in ogni ambito della vita, ragione ed esercizio della ragione inclusi. Per la Bibbia, il peccato ha introdotto uno stravolgimento totale a tal punto che non si dà più una ragione solo parzialmente intaccata dal peccato ma interamente intrisa di peccato. Gli effetti noetici del peccato non alimentano nessuna fiducia nelle capacità intrinseche della ragione ed esigono che venga abbandonata ogni pretesa di assoluta o parziale estraneità o neutralità della ragione rispetto al peccato. L’unica speranza che si può coltivare risiede nel messaggio di salvezza di Gesù Cristo che è rivolto alla redenzione del soggetto ragionante e alla riforma dei criteri della ragione. 

5. FR offre un’interpretazione del messaggio biblico e della storia del pensiero che è funzionale all’impostazione di fondo

Come si è notato in precedenza, FR argomenta la visione tomista del rapporto tra fede e ragione tentando di delineare un fondamento teologico nutrito di tematiche bibliche e patristiche. Il richiamo alla Bibbia e la volontà di ancorare il discorso biblicamente chiamano in causa coloro per i quali la Scrittura è, per usare i termini dell’enciclica, “l’unico punto di riferimento veritativo” (55).

 

5.1 L’interpretazione biblica

Nel presentare le piste bibliche, FR dedica una certa attenzione agli scritti sapienziali. Da questi testi biblici emerge “una profonda e inscindibile unità tra la conoscenza della ragione e quella della fede” (16) e si evince il fatto che “conoscere a fondo il mondo e gli avvenimenti della storia non è … possibile senza confessare al contempo la fede in Dio che in essi opera” (idem). In più, viene sostenuto che, secondo la sapienza d’Israele, “la ragione deve rispettare alcune regole di fondo” tra cui spicca il “timor di Dio” (18). Ancora: FR asserisce che per l’AT la conoscenza “suppone un indispensabile rapporto con la fede e con i contenuti della Rivelazione” (21). In questi casi, l’orizzonte profondamente unitario della Scrittura viene presentato adeguatamente. Successivamente, comunque, queste affermazioni vengono prima mitigate, poi stemperate e di fatto annullate dalla contestuale rivendicazione dell’autonomia della ragione che cozza contro la prospettiva unitaria degli scritti sapienziali. Il corretto riconoscimento della radicale unità della visione biblica appare in netta contraddizione con l’attribuzione dell’autonomia della ragione postulata dal tomismo di FR. Se le premesse sapienziali sono rispettate, non si potrà arrivare a conclusioni tomiste che le stravolgono.

Un discorso simile riguarda l’interpretazione dei testi paolini, in particolare Rm 1-2. In questi capitoli, l’apostolo chiama in questione la “piena e assoluta autonomia” dell’uomo (22) che ha accecato i nostri progenitori con l’illusione di essere “sovrani e autonomi” (idem). Anche in questo frangente, l’apprezzabile sintesi del discorso paolino, con tutte le sue implicazioni per il rapporto tra fede e ragione, viene rimpiazzata con la sintesi tomista che invece riconosce l’autonomia della ragione e concepisce la ragione come una facoltà a se stante rispetto alla fede. Proprio i termini che Paolo contesta vengono ripresi e ripresentati da FR. Anche gli effetti nefasti del peccato che Paolo espone in Rm 1-2 sono ridimensionati laddove si afferma che “la Sacra Scrittura… presuppone sempre che l’uomo, anche se colpevole di doppiezza e di menzogna, sia capace di conoscere e di afferrare la verità limpida e semplice” (82). L’attribuzione di questa “capacità” noetica si può accordare con l’insegnamento di Paolo solo se il testo biblico viene letto con categorie tomiste.

Il richiamo alla Bibbia, pur puntuale nell’esposizione dei dati salienti, appare quindi un esercizio strumentale e ininfluente ai fini della determinazione del pensiero di FR che trova ispirazione in altri orientamenti e in altre fonti.

 

5.2 L’interpretazione patristica

Un discorso analogo, anche se di minor peso teologico per la fede evangelica, riguarda la lettura patristica di FR, in particolare di Agostino e dell’agostinismo. Uno dei capitoli dell’enciclica riprende l’espressione che qualifica l’approccio agostiniano: “credo ut intelligam”. Secondo questa prospettiva, la fede è l’atto sorgivo della conoscenza, l’elemento fondante della ragione, non un dato parallelo o semplicemente posto accanto alla ragione. L’impianto tomista di FR, pur richiamando il “credo ut intelligam”, postula invece la distinzione e la reciproca autonomia di “fides et ratio”. La tradizione del “credo ut intelligam” non si sposa con quella della “fides et ratio” in quanto la coniugazione della relazione è profondamente diversa. Nella prima, credere è condizione del conoscere e alla fede viene riconosciuta una funzione presupposizionale; nella seconda, la fede è invece giustapposta alla ragione e, al massimo, svolge un ruolo integrante o elevante. Il riferimento al detto agostiniano da parte di FR appare un’operazione teologicamente surrettizia.

 

 

6. FR costituisce uno spunto per gli evangelici per riconsiderare il rapporto tra fede e ragione in un’ottica evangelica

Purtroppo l’enciclica non ha suscitato un grande interesse nel mondo evangelico e quindi non ha prodotto reazioni significative da parte della teologia evangelica. Le ragioni di tale silenzio andrebbero ricercate, ponderate e stigmatizzate anche perché l’attenzione critica all’attualità religiosa e teologica dovrebbe essere parte integrante dell’esercizio del discernimento evangelico. Per un evangelico medio la discussione sul rapporto tra fede e ragione può apparire una sterile disquisizione dottrinaria lontana dall’esperienza del cammino cristiano e della testimonianza. Eppure, come si è appena intravisto, nel modo in cui si concepiscono e si relazionano la fede e la ragione sono coinvolti snodi di capitale importanza per la fede evangelica: la questione della verità, lo statuto della conoscenza, gli effetti del peccato, l’autorità della Scrittura, l’analisi della cultura, ecc. In un mondo segnato dal pluralismo religioso ed ideologico, una riflessione evangelica su questi temi è necessaria se si vuole che la vita cristiana e la testimonianza siano solide, vigorose, quindi non poste alla mercé delle influenze del tempo. La valutazione critica di FR può essere un’occasione per impiegare, valorizzare e promuovere un’apologetica autenticamente evangelica.

 

Padova, 8 aprile 2000



[1] A questo proposito si possono elencare le fonti citate:

– concili: sinodo di Costantinopoli, Calcedonia, Toledo, Braga, Viennese, Lateranense IV, Lateranense V, Vaticano I, Vaticano II;

– encicliche: Redemptor hominis (1979), Veritatis splendor (1993), Aeterni patris (1879), Humani generis (1950), Pascendi dominici gregis (1907), Divini redemptoris (1937), Dominum et vivificantem (1986);

– lettere apostoliche: Tertio millennio adveniente (1995), Salvifici doloris (1984), Lumen ecclesiae (1974);

– testi liturgici: Missale romanum;

– altri testi del magistero: §§33-34, 41, 43, 52, 54, 61, 67, 92, 94, 96-97, 99, 103, 105-106.

[2] (nell’ordine in cui compaiono in FR): Tommaso, Anselmo, Agostino, Origene, Giustino, Clemente alessandrino, i Padri cappadoci, Dionigi l’areopagita, Pascal, Aristotele, Tertulliano, Francesco Suarez, Gregorio nazianzeno, John Henry Newman, Antonio Rosmini, Jacques Maritain, Etienne Gilson, Edith Stein, Vladimir S. Solov’ev, Pavel A. Florenskij, Petr J. Caadaev, Vladimir N. Lossky, Kierkegaard, Bonaventura, lo pseudo Epifanio.

[3] (in ordine di comparizione): idealismo, umanesimo ateo, mentalità positivista, nichilismo, fideismo, tradizionalismo radicale, razionalismo, ontologismo, marxismo, modernismo, teologia della liberazione, tradizioni religiose e filosofiche dell’India, della Cina, del Giappone, degli altri paesi asiatici e di quelli africani (72), eclettismo, storicismo, scientismo, pragmatismo, postmodernità.

 

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