Quello che il Papa non dice dell’amore di Dio

(1/2/2006)

La prima enciclica di Benedetto XVI è all’altezza della fama del suo estensore. Densa sul piano teologico, pungente su quello della riflessione, attenta alle questioni ideologiche, ma senza trascurarne la concretezza. Se si pensa che la prima enciclica di un papa è in genere programmatica (cioè contiene indicazioni sugli orientamenti generali del pontificato), l’enciclica Deus caritas est risponde perfettamente a questo canone. E’ un tema teologico che viene svolto con molta perizia e che riflette le convinzioni di chi ha un progetto ambizioso per la chiesa che rappresenta. E’ un’enciclica che parla ai fedeli cattolici, ma anche a tutti gli uomini interessati al bene comune e alla vita in società. Oltre a temi di carattere biblico, ai riferimenti patristici e alla vita di santi e beati (da Martino di Tours a Madre Teresa di Calcutta), il papa affronta questioni più generali quali il compito della politica e dello stato, le grandi questioni sociali della globalizzazione e della povertà prossima e lontana, il contributo dei vari corpi intermedi alla vita sociale. Molti possono trovare argomenti di riflessione e spunti di dibattito. L’amore non è visto in chiave meramente individuale e romantico, ma pensato come punto nevralgico di una visione del mondo. Con quest’enciclica, il papa vuole parlare a 360° gradi per proporre una concezione dell’amore che sia di stimolo per credenti e non credenti.

La prima parte dell’enciclica tratta del rapporto tra l’amore e l’eros, mettendo in evidenza come l’amore cristiano assuma le istanze positive dell’eros pagano, correggendone le deformazioni edoniste e aprendolo alla socialità ecclesiale ed umana. La seconda parte esplora le ricadute sociali dell’amore, alla luce della missione della chiesa in un mondo complesso e plurale. Molte osservazioni del papa sono interessanti, nella misura in cui riflettono il pensiero biblico sull’amore di Dio e sull’amore cristiano. In altre, emerge una difficoltà a rendere conto del messaggio della Scrittura nella quale Dio si fa conoscere. Nell’enciclica sull’amore di Dio, l’attributo dell’amore di Dio viene presentato in termini quasi assoluti, quasi che riassumesse in sé il carattere di Dio e a prescindere da altri attributi di Dio. Sembra che l’amore di Dio sia qualcosa di a sé stante e che non ci sia posto per altro, ad esempio la giustizia di Dio. Parole come “peccato”, “male” (salvo il titolo di un libro citato), “apostasia”, “giudizio” (salvo un riferimento al giudizio finale), “pentimento”, “collera”, “vendetta” non trovano posto nell’enciclica. Sembra che il papa, tutto preso a parlare dell’amore di Dio, sia scivolato nella tentazione marcionita che contrappone il Dio dell’Antico Testamento (severo vendicatore) a quello del Nuovo Testamento (padre amorevole). Per la Bibbia, invece, l’amore di Dio è sempre qualificato dagli altri attributi di Dio e non a prescindere da essi. E’ vero che in molta teologia contemporanea c’è pudore (se non proprio fastidio) a parlare della giustizia, del giudizio e dell’ira di Dio. Che il papa che viene spesso etichettato come “mastino dell’ortodossia” scivoli sullo stesso terreno è indice di come il vecchio marcionismo sia vivo e vegeto anche nel cattolicesimo ufficiale.

Oltre a questa dimenticanza, l’unica volta in cui il papa mette in relazione l’amore e la giustizia di Dio rivela la distanza dalla visione biblica e l’assunzione, invece, di categorie umaniste molto in voga. Parlando di Osea, Benedetto XVI scrive che “l’amore appassionato di Dio per il suo popolo — per l’uomo — è nello stesso tempo un amore che perdona. Esso è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso, il suo amore contro la sua giustizia” (10). No, questo è biblicamente sbagliato! Che l’amore di Dio sia contro la sua giustizia lo dice il pensiero umanista per cui l’amore è incompatibile con la giustizia. La Scrittura dice che l’amore e la giustizia di Dio non sono uno contro l’altro, ma sono manifestati compiutamente nel sacrificio del Figlio di Dio sulla croce. Lì, l’amore di Dio non nega la giustizia, ma la esegue, prendendo però il posto di coloro che dovevano essere colpiti dalla giustizia e offrendo loro la salvezza procurata da Gesù Cristo, il sacrificio propiziatorio per i peccati (Rm 3,25; 1 Gv 2,1-2; 1 Gv 4,10). Alla croce, la giustizia di Dio non va contro l’amore, ma lo manifesta nel fatto che Dio, nella sua misericordia, esercita la giustizia, prendendo su di sé (cioè su Gesù Cristo) i suoi effetti nefasti. Dio non è schizofrenico! Il suo regno non è diviso in due parti in guerra (Mt 12,25). Il Dio uno e trino è amorevole e giusto allo stesso tempo. Qual è il problema teologico dell’enciclica? E’ la dottrina della sostituzione vicaria del Figlio di Dio che manca nella Deus caritas est. Questa dottrina fondamentale dell’evangelo dice che “Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unico figlio affinché chiunque crede in Lui non muoia ma abbia vita eterna” (Gv 3,16). Cristo alla croce faceva incontrare l’amore e la giustizia di Dio, non le faceva cozzare come dice il papa. E’ alla croce che “la bontà e la verità si sono incontrate, la giustizia e la pace si sono baciate” (Sal 85,10). Senza questa dottrina, è impossibile conciliare l’amore e la giustizia di Dio e non si può capire il senso biblico di quando la Scrittura dice “Dio è amore” (1 Gv 4,8).

Un’ultima considerazione. Molti osservatori hanno notato una minore enfasi mariana da parte di questo papa rispetto a Giovanni Paolo II. In parte, si tratta di spostamenti d’accento all’interno della medesima cornice teologica. Queste variazioni sono fisiologiche all’interno del cattolicesimo in cui convivono più tipi di spiritualità. Si può essere più o meno mariani nei discorsi e nei comportamenti, ma i dogmi mariani rimangono vincolanti nella struttura dottrinale della chiesa cattolica. In ogni caso, è significativo che, com’era consuetudine del suo predecessore, anche l’enciclica di Benedetto XVI si conclude con la classica invocazione a Maria (41-42) a cui viene affidata la chiesa e la sua missione. Se Dio è amore, perché continuare ad invocare Maria per affidarle il ministero della carità della chiesa?

Share Button